Langhe Nebbiolo 2007 Roberto Voerzio

Nelle numerose scorribande con Roberto Voerzio, ha sempre sorriso (ma non sappiamo invece se in verità voleva mandarmi a quel paese… LOL) quando lo definivo “il più modernista dei tradizionalisti” poiché “abbinava” le lunghe macerazioni, agli affinamenti in barriques.

Quindi è sempre un tuffo nel passato quando si ha l’occasione di bere un vino di Voerzio appartenente ad un’era enologica fa. Oggi si chiama Difrancesco ed è affinato in tonneaux quello che una volta era il San Francesco-Fontanazza affinato in carati, perché “oggi” non si possono più menzionare più vigneti in etichetta. Ma vi posso dire che questo 2007 è un vero e proprio coup de coeur. Parte da un millesimo non facile perché figlio di un’annata calda e, mentre tanti suoi colleghi coetanei vinosi si rivelerebbero già seduti oggi, lui invece ha ancora una stoffa da maratoneta per correre con distacco.

Possiede una croccantezza di frutto senza nessun cedimento nel “sotto spirito” del millesimo. È preciso e definito come una fotografia ad alto numero di pixels, profuma di rosa peonia che racconta la florealità di La Morra, possiede una stratificazione speziata davvero bilanciata tra quelle piccanti e quelle dolci. Infatti il carattere vanigliato non sale mai in cattedra.

Al palato troviamo grande freschezza acido-sapido che tiene smorzata la vampata pseudo calorica che tuttavia ti aspetteresti dalla bocca di una 2007. Grande fattura del tannino ed una profondità gustativa che chiude in un finale che avrebbe ancora molto da rivelare.

Ma, ahimè, la bottiglia è presto finita ancora prima di raccontarla.

Langhe Nebbiolo Sperss Gaja 2001

96/100 – Langhe Nebbiolo Sperss Gaja 2001

Era il 1988 quando Angelo Gaja acquistava una parcella all’interno del cru Marenca-Rivette a Serralunga d’Alba. Angelo aveva già camminato quelle vigne da piccolo, quando aiutava nonno Giovanni nella raccolta delle uve. Ecco perché venne scelto poi il nome di Sperss che in dialetto significa “nostalgia”. Con lo Sperss, il nome Gaja si rilancia alla grande anche nella denominazione Barolo. Arrivò poi anche l’acquisizione della parcella all’interno del Cerequio di La Morra, chiamato Conteisa, in memoria della disputa durata 100 anni tra i comuni di La Morra e Barolo nell’acquisizione di queste terre. L’esordio del Conteisa coincise però con l’annata 1996 e combaciò dunque con il primo anno in cui Angelo scelse di imbottigliare i cru con la denominazione di Langhe Nebbiolo, dove entrarono anche un 5% di uve barbera. Tuttavia prevale sempre lo spirito nebbioleggiante nelle differenze dei cru; più caldo, potente e tenace lo Sperss, più accomodante, avvolgente e speziato il Conteisa. Lo Sperss nasce da una parcella di 12 ettari, con esposizione sud e sud-ovest, un’altitudine di 370 mt. ed un’età media delle viti di 55 anni. Nel bicchiere abbiamo il millesimo 2001, annata che è nel cuore di ogni appassionato langarolo. Partita in sordina in quanto gli americani avevano preferito di gran lunga la 2000, con le relative conseguenze di ricaduta sul mercato. La 2001 ci ha messo un po’ di tempo prima di dire la sua. Come è giusto che sia quando si parla di annate più classiche e la tua pazienza viene ripagata in tutta questa attesa, dalla sua grandezza e da una “prontezza” di beva a distanza di 21 anni.
Veste un rubino luminoso che sfuma leggermente verso il granato. Al naso mette in campo tutta la stoffa ed il carattere di Serralunga. Ma la capacità delle 2001 è quello di dare comunque grazia, raffinatezza e piacevolezza al tutto. Frutto scuro di una visciola sotto spirito, prugna, violetta passita. Con l’ossigenazione ecco uscire la nota di eucalipto sempre presente in questo vino, che gioca con le note più “dolci” di tabacco, cuoio e cannella. Al palato si palesa tutta la potenza di Serralunga, attraverso una trama tannica fitta e decisa, ma trova tutto l’equilibrio del caso in un corpo caldo e avvolgente. E’ proprio questo equilibrio gustativo che permette di dare profondità all’articolazione, di quelle che si faranno ricordare per sempre.

Langhe Nebbiolo Rinaldi 2015

Non sono molte le persone che conoscevano il motivo del perché ti chiamavano “citrico”. Quel carattere langarolo, verace, un po’ burbero e un po’ scontroso, quel filo di voce di poche parole, molto misurate, ma che avevano il grande pregio di trasmettere l’amore per la propria terra e che si riscontravano nel sudore della tua fronte e nei solchi delle tue mani.

Noi discepoli del tuo credo, organizzavamo continue visite in cantina con la speranza di cercare di strappare anche solo una delle tue bottiglie, non importa di cosa e magari presa da quel bancale destinato alla Finlandia. Visite che potevano durare solo pochi minuti perché davi l’impressione che ti rompessimo le balle e “perché avevi gli operai in casa”, così come potevano durare ore intere, perché quel giorno eri “in vena” e quindi ti andava di raccontare anche delle gite in lambretta con i tuoi amici, fino a Montecarlo, per vedere il Gran premio di Formula Uno. C’erano giorni dove l’unico assaggio che potevi fare era quello della freisa appena imbottigliata, mentre altre volte capitava la fortuna di vederti stappare davanti a te un Barolo “d’annata”. E quella sdraio con la scritta “l’uso migliore della barrique”. Mi perdonerai, caro Beppe, se amo tutt’ora anche i Barolo fatti in legno piccolo.

Non c’era distinzione nei tuoi vini, tutto era “trattato” alla stessa maniera, sia che si trattasse del Rouché o di un grande Brunate. E questo Nebbiolo bevuto stasera in tuo onore, è stato l’estrema sintesi del tuo essere, del tuo vivere. Scorbutico appena aperto, quella volatile che fa sempre capolino sulle prime, quasi a mettere quel segno di fabbrica, indelebile e marchiato con la ceralacca. Ed è proprio nella volontà di spingerti oltre dove facevi selezione nel scegliere chi è veramente in grado di gradire o di amare i tuoi vini. Già perché c’è una profonda differenza tra gradire e amare. Solo chi sa andare oltre nel cogliere le piccole sfumature, allora trarrà le giuste emozioni. Quel ribes e quel geranio nel frattempo si erano trasformate in violetta e ciliegia. Nella 2015 c’è poi quel qualcosa di evoluto in più e che sfocia in sentori di cannella, chiodi di garofano, cuoio e balsamico. Tanto balsamico. Al palato è interminabile nonostante ci sia quel tannino incisivo, ruvido, tenace a fare da contrappunto. Ma sarà forse la percezione che tu non sei più tra noi, a renderlo tutto più magico.

O forse no, forse lo era già di suo.

Il finale ti lascia però con l’amaro in bocca, ma quello non è dovuto al vino, ma perché sappiamo che tu non sei più tra noi.

Ci mancherai e non ci stancheremo mai di ricordartelo.