
A volte vorresti possedere una macchina del tempo per portare con te quella bottiglia che hai di fronte, giusto per vedere come sarà tra 25 anni. Già perché i suoi 25 di vita terrena non sono bastati per rendere il giusto merito ad un grande vino. Un vino immenso che ti lascia con l’amaro in bocca, per avere affondato troppo presto il cavatappi. Ma ci vuole anche fortuna poiché due anni fa, la sua sorellina è finita dritta nel lavandino e lasciava temere il peggio per quella rimasta. Ti senti subito sollevato quando, versandolo nella caraffa, lo vedi risplendere di un giallo verde-oro luminoso e brillante, rigoglioso di vita attraverso quell’attacco vegetale e senza un filo di ossidazione. Naso intrigante, stimolante, capace di mescolare caratteri esotici, salmastri, di erbe aromatiche, camomilla e iodio. Per chi abusa sempre del termine mineralità, consiglierei di farci un giro sopra per capire di cosa si sta parlando e che non è una parola da usare a vanvera. Camaleontico con il passare dei minuti sia per l’evoluzione olfattiva, quanto per quella gustativa. Tensione, nervosismo e grande freschezza acido-sapida sostengono polpa, calore e generosità. Una generosità che avrebbe atteso volentieri altri 25 anni. Evitiamo di dare voti in centesimi in quanto sarebbe ingeneroso e mancante di rispetto nei confronti di un monumento dell’enologia mondiale.
Di gran lunga il vino bianco dell’estate 2012. E potenzialmente anche di quella del 2037. Averne però…
