
Sappiamo benissimo come oggi il concetto del legame territoriale venga inseguito da parte del produttore di vino, mentre il consumatore/appassionato ne fa quasi una malattia. Ore passate a degustare, comparare e studiare. Tempo dedicato e chilometri macinati in lungo e in largo, tra visite in cantina, pellegrinaggi in vigna e degustazioni cieche a cercare quel profumo, quella sfumatura, quella declinazione del tannino che ti faccia scattare la scintilla che ti illumini sulla via di Damasco, quando nel bicchiere ci trovi il collegamento vino-produttore-annata.
Tappa imprescindibile di questa via di Damasco, passa necessariamente da Monforte d’Alba. Quando varcate la soglia della cantina di Giacomo Fenocchio, avete come l’impressione di aver interrotto un percorso spazio temporale, le mode sono bandite, il tempo si è fermato e sentire parlare Claudio Fenocchio, rappresentante della quinta generazione di viticoltori, sentirete che qui si va oltre a quel concetto del legame territoriale. Perché nella Bussia, Claudio ci è nato e ci vive. Alle vigne gli dà del tu, conosce ogni centimetro quadrato di ogni sua vigna, ma in particolare con la Bussia lo si sente respirare un’aria diversa, da innamorato di questa terra. Sembra avere il cordone ombelicale ancora fortemente attaccato a questa vigna.
Gli avevano insegnato che la Bussia aveva qualcosa di speciale e nel 2008 decise di avviare delle piccole sperimentazioni con le uve, o sarebbe il caso di parlare di gioielli, che nascevano dalla Bussia, dove far nascere una Riserva solo nelle grandissime annate. Facendo tesoro degli insegnamenti ereditati dal nonno e dal bisnonno, spinse quindi le macerazioni sulle bucce fino a 90 giorni. Questi esperimenti furono accantonati nella 2009 poiché non ritenuta all’altezza, mentre lo Zenith lo si toccò con la 2010. Le uve avevano una maturazione fenolica talmente perfetta che nacque ufficialmente la prima annata del Barolo Bussia Riserva 90 dì.
Ebbi la fortuna di assaggiarlo solo una volta quella mitica 2010 che profumava di tartufo e quindi la curiosità che si celava dietro alla stappatura di questa 2016, era pari a quella di un bambino per la prima volta in gita a Gardaland. La 2016 nutre sempre forti aspettative e per stoffa e caratura, ha per certi versi molte similitudini con la 2010.
Subito il pensiero ti fa aprire il file denominato Bussia nel nostro cervello. Colleghi quelle note di marasca sotto spirito, la violetta passita, la mentuccia e gli accenni di cuoio e tabacco che emergono, pur essendo un vino nel pieno della sua gioventù, per le sua caratteristiche di vinificazione. Oltre ai 90 giorni di macerazione, passa più di 4 anni di affinamento in botti dalle capienze che vanno dai 35 ai 50 hl. Il palato è potente, di grande stoffa, mentre la grande sensazione pseudo calorica data dall’alcol viene subito “rinfrescata” dalla balsamicità e dalla freschezza acido-sapida. Il tannino della Bussia è incisivo, tenace, ma con un profilo più accomodante e meno graffiante se paragonato ai “grand cru” di Monforte che si trovano sul versante opposto che guarda Serralunga, come ad esempio Castelletto, Ginestra o Mosconi.
La persistenza gusto-olfattiva è di quelle che non si dimenticherà facilmente.
Altra prova che fa di Claudio Fenocchio un vignaiolo intraprendente, amante del rischio, ma con la testa sulle spalle e fermamente convinto sulla bontà della propria materia prima, risiede sul fatto che la prossima Riserva è stata riservata sulla tanto discussa annata 2018. Ma per questa toccherà aspettare gennaio 2024 prima di mettere in opera il cavatappi.
D’altronde la pazienza, qui è di casa.

