Barbaresco Pajorè Rizzi 2017

Il Pajorè è un cru dolcemente disteso nella parte estrema nord-occidentale del comune di Treiso, costeggiando il cru di Montaribaldi, il quale invece si trova nel comune di Barbaresco. Poco più distante troviamo i cru di Roncaglie, Roncagliette e Roccalini, quindi possiamo dire che è a tutti gli effetti una zona baciata dal signore per quando riguarda le caratteristiche pedoclimatiche proprie di queste dolci colline e di conseguenza della qualità dei vini che se ne ricavano. La famiglia Dellapiana della cantina Rizzi ne possiede tre ettari ed è stato vinificato per la prima volta nel 2004. Enrico Dellapiana, con la sorella Jole, prosegue l’egregio lavoro ereditato dal padre Ernesto, continuandone lo stile aziendale che vede affinamenti solo in botti grandi, una partecipazione aromatica del legno poco invasiva e che vuole mettere in risalto quelle che sono le caratteristiche del singolo cru, attraverso uno stile che privilegia corpi snelli e longilinei, andandone a risaltare principalmente quel carattere, chiamiamolo col termine “nervoso”, in linea con quelli che sono i parametri del villaggio di Treiso.

I Dellapiana si dicono entusiasti dell’annata 2017, in quanto hanno deciso di fare i cru e hanno ammaestrato quei tratti focosi e abbastanza contenuti nelle acidità del millesimo, se paragonato alla 2016. La raccolta delle uve con una buonissima maturazione fenolica, hanno permesso di produrre dei vini suadenti nell’immediato, ma che sapranno trarre beneficio del tempo anche sul lungo periodo. Andando inoltre ad arrotondare quegli spigoli gustativi giovanili, così come per gli altri grandi millesimi.

Questo Pajorè si presenta nel bicchiere con una veste rubino di estrema lucentezza, trasparenza e dal grande fascino. Già dal colore ti coinvolge e ti trascina all’interno di un bouquet cristallino nella definizione aromatica, preciso, nitido. Il frutto racconta principalmente di frutta rossa a bacca rossa, quella che richiama grinta e acidità. Lo sviluppo con l’ossigenazione poi fa uscire dei tratti più caldi, figli dell’annata, che portano maggiore attraenza e quella suadenza raccontata sopra. Palato dinamico, avvolgente, come dicevamo, sul finale esce quel tratto “nervoso” dato dalla grinta del tannino, pur mantenendosi con un taglio minuto e ben fatto e che troverà col tempo la giusta armonia. Così come l’articolazione, già appagante ora, potrà trovare maggiore allungo e ampiezza almeno tra una decina di anni.
Ovviamente se avrete la pazienza di aspettare.

Langhe Nebbiolo Rinaldi 2015

Non sono molte le persone che conoscevano il motivo del perché ti chiamavano “citrico”. Quel carattere langarolo, verace, un po’ burbero e un po’ scontroso, quel filo di voce di poche parole, molto misurate, ma che avevano il grande pregio di trasmettere l’amore per la propria terra e che si riscontravano nel sudore della tua fronte e nei solchi delle tue mani.

Noi discepoli del tuo credo, organizzavamo continue visite in cantina con la speranza di cercare di strappare anche solo una delle tue bottiglie, non importa di cosa e magari presa da quel bancale destinato alla Finlandia. Visite che potevano durare solo pochi minuti perché davi l’impressione che ti rompessimo le balle e “perché avevi gli operai in casa”, così come potevano durare ore intere, perché quel giorno eri “in vena” e quindi ti andava di raccontare anche delle gite in lambretta con i tuoi amici, fino a Montecarlo, per vedere il Gran premio di Formula Uno. C’erano giorni dove l’unico assaggio che potevi fare era quello della freisa appena imbottigliata, mentre altre volte capitava la fortuna di vederti stappare davanti a te un Barolo “d’annata”. E quella sdraio con la scritta “l’uso migliore della barrique”. Mi perdonerai, caro Beppe, se amo tutt’ora anche i Barolo fatti in legno piccolo.

Non c’era distinzione nei tuoi vini, tutto era “trattato” alla stessa maniera, sia che si trattasse del Rouché o di un grande Brunate. E questo Nebbiolo bevuto stasera in tuo onore, è stato l’estrema sintesi del tuo essere, del tuo vivere. Scorbutico appena aperto, quella volatile che fa sempre capolino sulle prime, quasi a mettere quel segno di fabbrica, indelebile e marchiato con la ceralacca. Ed è proprio nella volontà di spingerti oltre dove facevi selezione nel scegliere chi è veramente in grado di gradire o di amare i tuoi vini. Già perché c’è una profonda differenza tra gradire e amare. Solo chi sa andare oltre nel cogliere le piccole sfumature, allora trarrà le giuste emozioni. Quel ribes e quel geranio nel frattempo si erano trasformate in violetta e ciliegia. Nella 2015 c’è poi quel qualcosa di evoluto in più e che sfocia in sentori di cannella, chiodi di garofano, cuoio e balsamico. Tanto balsamico. Al palato è interminabile nonostante ci sia quel tannino incisivo, ruvido, tenace a fare da contrappunto. Ma sarà forse la percezione che tu non sei più tra noi, a renderlo tutto più magico.

O forse no, forse lo era già di suo.

Il finale ti lascia però con l’amaro in bocca, ma quello non è dovuto al vino, ma perché sappiamo che tu non sei più tra noi.

Ci mancherai e non ci stancheremo mai di ricordartelo.

Clos de la Coulée de Serrant Joly 1987

A volte vorresti possedere una macchina del tempo per portare con te quella bottiglia che hai di fronte, giusto per vedere come sarà tra 25 anni. Già perché i suoi 25 di vita terrena non sono bastati per rendere il giusto merito ad un grande vino. Un vino immenso che ti lascia con l’amaro in bocca, per avere affondato troppo presto il cavatappi. Ma ci vuole anche fortuna poiché due anni fa, la sua sorellina è finita dritta nel lavandino e lasciava temere il peggio per quella rimasta. Ti senti subito sollevato quando, versandolo nella caraffa, lo vedi risplendere di un giallo verde-oro luminoso e brillante, rigoglioso di vita attraverso quell’attacco vegetale e senza un filo di ossidazione. Naso intrigante, stimolante, capace di mescolare caratteri esotici, salmastri, di erbe aromatiche, camomilla e iodio. Per chi abusa sempre del termine mineralità, consiglierei di farci un giro sopra per capire di cosa si sta parlando e che non è una parola da usare a vanvera. Camaleontico con il passare dei minuti sia per l’evoluzione olfattiva, quanto per quella gustativa. Tensione, nervosismo e grande freschezza acido-sapida sostengono polpa, calore e generosità. Una generosità che avrebbe atteso volentieri altri 25 anni. Evitiamo di dare voti in centesimi in quanto sarebbe ingeneroso e mancante di rispetto nei confronti di un monumento dell’enologia mondiale.

Di gran lunga il vino bianco dell’estate 2012. E potenzialmente anche di quella del 2037. Averne però…